CHI ERO…
Io sto nel flow, perché l’ho deciso, perché l’ho scelto. Ero triste, frustrata, delusa, vittima, prigioniera. Sì lo ero, è la verità, ma le mie erano anche scuse. Cioè le mie verità erano diventate scuse, giustificazioni per restare dov’ero. Ferma, immobile, mentre la vita scorreva e si divertiva a fare di me ciò che voleva. La Vita, questa creatura malvagia che ci fa del male… “Così è la vita!”, dicevo. Ma così come?
E poi? E poi sono diventata mamma, mamma di un bambino che non parla, e che la società “normale” definisce “speciale”. Ed ecco che sono diventata una caregiver, cioè colei che assiste un disabile. Da quel momento la mia mente ha cominciato a riempirmi di pensieri che mi stavano portando… sai dove? Verso il fondo.
Il fondo, non so se ce l’hai presente. L’hai mai toccato? Sì, tutti ne abbiamo toccato uno. Be’ ti racconto la mia esperienza di fondo. Io avevo focalizzato tutta la mia attenzione su ciò che non andava in mio figlio, su ciò che mio figlio non sapeva fare, e su ciò che non funzionava in lui. “Lui non sa parlare, lui non sa giocare come giocano gli altri,” “Non si sa vestire da solo”, “Non capisce molte cose”… Insomma, un Non costante che mi ha fatto toccare il fondo. In fondo, se ci pensiamo bene, il fondo è fatto di Non.
Eppure, questo fondo non era liscio, viscido e freddo, come me l’ero immaginato, ma caldo, ruvido e asciutto. Una sensazione quasi piacevole al tatto, devo dire. Ora, lì sotto, nel fondo, c’erano delle cose. All’inizio erano delle cose indefinite che si muovevano. Lì per lì, mi sono spaventata e ho indietreggiato. Poi però ho guardato bene… no, niente, rimanevano sempre indefinite, perché laggiù nel fondo c’è una costante penombra. Queste cose erano senza forma, cioè, ce l’avevano una forma, solo che era… deforme. Erano molliccie e impolverate.
Però, una cosa strana, facevano luce. Vabbè, chiamarla luce forse è un po’ troppo. Barlume? Queste cose deformi, leggermente luminose e piene di polvere sembravano dei palloncini di elio acquistati quattro giorni prima. Fluttuavano a due centimetri dal suolo, il suolo che in fondo è il fondo.
Dunque, dopo aver toccato il fondo ed esserci rimasta seduta sopra per un bel po’, ho deciso di far leva sulle braccia e di darmi una bella spinta. Non avete idea di cosa sia accaduto dopo! Ho cominciato a salire su, a volare in alto, sembravo Mary Poppins senza ombrello, o Superman senza la tuta – ehm, no, Superman senza tuta, no… – vabbé, ci siamo capiti…
insomma volavo, e quelle cose barlumose e sgonfie volavano su con me. Mentre salivano, la polvere che le ricopriva scivolava via e quel barlume è diventato… un bar… una baraonda di luce. Allora ho capito: queste cose, non erano cose, erano le mie emozioni.
Prima, quando stavano sul fondo, erano proprio emo, tutte nere, col muso lungo, poi quando sono salite su e hanno iniziato a fare luce si sono trasformate in… zioni. Questo per dire che non ci sono emozioni negative o positive, ma solo emozioni, sono la stessa cosa. Solo che quando l’emozione sta giù e si sente depressa, è più emo, quando invece sta su ed è felice è zione.
E quando arrivi in alto tutto cambia. È come cavalcare un drone, cambia tutta la prospettiva. Se prima ogni cosa dal basso mi sembrava gigantesca e insormontabile, dall’alto tutto si ridimensiona, si rimpicciolisce fino a… sparire. Dall’alto, quella situazione che avevo vissuto fino a quel momento, non era che una cosa minuscola che potevo afferrare e stringere in un pugno.
Ed è lì che ho anche cambiato linguaggio, sì, il mio modo di parlare. Ho cominciato a usare parole diverse, e ne ho anche inventate di nuove. Allora ho dato un nome diverso alla disabilità di mio figlio, e l’ho ribattezzata come abilitadis, l’arte di essere abilmente diversi. Lui è abilmente diverso, e lo sono anche io. In realtà lo siamo tutti. Tutti vogliamo distinguerci gli uni dagli altri, tutti vogliamo essere diversi. Ma siamo davvero così abili nell’essere diversi? Io sì, ma solo perché l’ho imparato da mio figlio, e voglio essere ogni giorno sempre più diversa, ogni istante, e lo faccio rompendo gli schemi.
… E CHI SONO
La sottile arte di rompere gli schemi, dunque. Eh sì, per me ogni cosa è un’arte. E dunque, alla luce di tutto ciò, chi sono io oggi, qui e ora? Sono tante cose: per esempio, sono una Life Co… Coccige. Sai dove si trova il coccige, vero? Quindi saprai anche che c’è del sacro in questo. Sono una Life Coccige nel senso che aiuto le persone a non farsi prendere per… il culo dalla propria mente. Cosa non semplice, perché la mente sembra saperne sempre una più di te.
E la mia ne sapeva tante, ma ho imparato a tenerla a bada e così sono diventata la badante della mia mente. Poi, sono una Flow trainer. Letteralmente Flow trainer significa “allenatrice del flusso”, cioè alleno me stessa e gli altri al flusso del benessere, anzi, alleno a Benessere.
Sì, perché per me “benessere” non è un sostantivo, ma un verbo – la sottile arte di rompere gli schemi, ricordi? E così ho rotto lo schema della grammatica -. Mentre il sostantivo “sosta”, il verbo agisce, è azione, movimento, è un fare. Alleno a Benessere – ed è a questo che serve il mio sito – attraverso giochi di parole e creatività, un mix di consigli, riflessioni, esercizi, video, audio, romanzi e realtà, tutti accomunati dalla sottile arte di rompere gli schemi. Perché per benessere devi rompere gli schemi, sempre.
Forse potrei riassumermi in unica parola: un’artista dal cuore divergente che si diverte a giocare con le parole – l’avrai notato. Be’, a dirla tutta, anche loro, le parole, si divertono a giocare con me. Che posso farci? Da quando ho acquisito la consapevolezza di essere abilmente diversa, sono diventata “un’impicciona del bello”: adoro addentrarmi nella realtà, la mia e quella degli altri, filosofeggiarci un po’ su, catturarne il bello, modificarla a modo mio, per poi ridonarla con qualche scintillio in più. È per questo che amo scrivere, ed è anche per questo che amo leggere. O è al contrario? Scrivo perché leggo, o leggo perché scrivo? Sembra il dilemma dell’uovo e della gallina, ma… sai che ti dico? Per me una cosa nasce dall’altra, in un cerchio infinito di meraviglie. E spesso succede che mi azzardo anche a viverle le parole che leggo, per poi scrivere ciò che vivo.
“Tutto ciò che accade, tu lo scrivi”, disse l’Infanta Imperatrice.
“Tutto ciò che io scrivo accade”, fu la risposta del Vecchio della Montagna Vagante (da La storia Infinita).
Ripeti a te stesso: Rompi gli schemi, rompi gli schemi, rompi gli schemi… È vero, la frase è sempre la stessa. È vero — ed è il colmo — rischi persino di essere ripetitivo, proprio come in uno schema. Ma la realtà che crei quando metti in pratica questa frase, è ogni volta sorprendentemente diversa”.